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Lectio magistralis di Václav Klaus pronunciata all´Università di Trento in occasione del conferimento del titolo del professore onorario

Pagine Italiane, 10. 3. 2006

Magnifico Rettore, Illustri Presidi, professori, signore e signori, cari studenti,

Voglio ringraziarvi per questo grande onore che ho ricevuto da voi.

Prima però vorrei affrontare un altro argomento. Ho deciso di presentare questa lectio magistralis in lingua italiana. Da parte mia è una cosa molto coraggiosa.  Fin adesso non ho ancora mai parlato italiano in pubblico. Spero che perdonerete le imperfezioni del mio italiano.

Dovrei spiegare dove ho incrociato la lingua italiana. Quarant´anni fa, ho passato cinque mesi a Napoli studiando all´ISVE, Istituto di studi per lo sviluppo economico, però purtroppo non in italiano ma in inglese. Questo Istituto organizzava gli studi postgraduali per gli stranieri, stranieri giovani, che potenzialmente potevano in futuro  ottenere posti importanti nei loro Paesi e grazie a questo soggiorno e studio avere un rapporto d´amicizia con l´Italia. Non ho seguito la vita professionale dei miei trentasei compagni di studi provenienti da venticinque Paesi di tutto il mondo, però sono convinto che io sono stato il miglior investimento dello Stato italiano e dei suoi contribuenti fiscali.

Purtroppo non ho imparato bene a parlare italiano ma sono comunque convinto di fare una buona cosa parlando qui a Trento in italiano. La mia lectio non ha nessuna versione in ceco ed è stata scritta da me, direttamente in italiano. Spero che il mio discorso vi sarà comprensibile. Altrimenti, devo saltare in inglese, tedesco, russo o in ceco.

Per caso sono arrivato a Trento non da Praga ma da Lussemburgo, dove sono stato in visita ufficiale. So, che esiste un rapporto interessante tra la Boemia, il Lussemburgo e il Trentino. Nell´anno mille trecento trentanove il re boemo Giovanni di Lussemburgo ha dedicato l´Aquila di San Venceslao al vescovo di Trento. L´Aquila è diventata poi il simbolo della vostra Provincia. È stato per me un grande piacere riceverelo dal Presidente del governo provinciale, il signor Lorenzo Dellai.

Vorrei ancora dire che questo onore non è il primo che ho ricevuto nella mia vita. Preparando il mio discorso ho scoperto, con mia grande sorpresa, che  ho ricevuto già varie lauree honoris causa e vari premi internazionali in diciannove Paesi del mondo, in tutti i continenti escludendo l´Africa. Comunque il titolo del professore onorario da voi conferito a me è il primo riconoscimento che ho ottenuto in Italia. Vorrei ripetere il mio grande ringraziamento. Non interpreto questo premio solamente come un riconoscimento a me stesso ma anche come un premio per il mio Paese che ha tradizionalmente relazioni molto buone con l´Italia. I nostri cittadini considerano l´Italia un Paese molto vicino e amichevole. È stato sempre così, ma una nuova qualità a questi rapporti viene aggiunta dalla nostra appartenenza all´Unione Europea.

E con questo, passo al vero tema del mio discorso. Il magnifico rettore mi ha proposto di parlare durante il mio discorso dell ´Europa, di presentare la mia analisi del suo presente è la mia visione del suo futuro. Proprio questo è il tema principale della mia vita di oggi.

Comincio con una distinzione, a prima vista e per molti, insignificante fra i termini Europa e Unione Europea. Per me, questa distinzione è fondamentale. Non si deve parlare dell´uno pensando all´altro. Non ho neanche la minima ambizione di parlare dell´Europa, di criticare l´Europa, di costruire l´Europa, di espandere l´Europa. L´Europa è un´entità geografica (ma neanche i suoi confini sono chiari), nata dall´evoluzione storica, è un´entità culturale e civile in continuo cambiamento. L´Europa è un´entità che esiste indipendentemente dalle nostre ambizioni, che cambiano nel tempo, le ambizioni di unirsi, di dividersi, di fare amicizia o di diventare nemici. Nessuno può reclamare questa entità, nessuno può appropriarsela (o usurparla), nessuno possiede le sue chiavi.

Un´altra cosa è l´Unione Europea. L´Unione Europea - nata come un progetto politico in un certo momento storico – è un raggruppamento di Paesi, che  malgrado le loro differenze storiche, religiose, culturali, politiche ma anche economiche, vogliono fare alcune cose insieme. Questo progetto, le sue ambizioni, i suoi successi e insuccessi, i suoi costi ed effetti, lo dobbiamo invece valutare. Ed io lo faccio spesso.

Noi tutti, adesso voglio dire noi tutti in Europa, siamo stati testimoni - qualche volta anche diretti - di vari processi integrativi e disintegrativi. Anche la vostra bellissima parte dell´Europa è stata colpita dai processi dell´unificazione dell´Italia cento cinquant´anni fa, dalla disintegrazione dell´Austria-Ungheria dopo la prima guerra mondiale, dai cambiamenti causati dalla seconda guerra mondiale, e anche dalle conseguenze della nascita del Mercato Comune Europeo, della Comunità Economica Europea e poi dall´Unione Europea. Tutti abbiamo la nostra memoria storica, e per questo siamo sensibili a varie cose. Qualche volta anche allergici.

La mia principale esperienza storica  è lo sforzo centenario del mio Paese di difendersi dalla pressione germanizzatrice, lo sforzo di liberarsi dal centralismo di Vienna che esisteva nella monarchia austro-ungarica, lo sforzo di liberarsi dall´egemonia dell´impero sovietico e delle sue organizzazioni internazionali, come il Comecom e il Patto di Varsavia. Questa esperienza definisce il grado della mia personale sensibilità vis-à-vis a vari progetti integrativi, unificativi, internazionali e sovranazionali.

Per di più non penso che Fukuyama aveva ragione dicendo che „la storia è  finita“ – ed esagerando un po – non penso che già si avvicina il „brave new world“ (il coraggioso mondo nuovo), che è stato così ben descritto nella famosa antiutopia di Aldous Huxley, nel quale ci saranno „rosy hours“ (le ore rosee) ma non ci sarà né la liberta né la democrazia. La storia (e la politica e gli interessi umani) non è finita e perciò non comincia lo stato idilliaco del processo apolitico, tecnocratico e del costruttivismo sociale su scala mondiale. Questo deve essere uno dei fondamentali punti di partenza delle nostre riflessioni sul futuro.

Non penso neanche che il processo dell´integrazione europea deve essere determinato dalla visione di Huntington sul „conflitto delle civiltà“. Non penso che il presente, ma presunto, conflitto fra l´ islam e l´occidente deve far avanzare l´Europa verso una vana e non necessaria unificazione dalla quale una vera e reale libertà e democrazia sono escluse. Questa unificazione, l´omogenizzazione, l´armonizzazione e la standardizzazione sono fatte con l´obiettivo di intervenire con una voce forte in questo conflitto. Anche questo obiettivo di andare verso „ever-closer Europe“ (l´Europa sempre più stretta) dovrebbe essere rifiutato come totalmente inadeguato.

La difesa del sovranazionalismo europeo non dovrebbe basarsi neanche sul concetto del „big is beautiful“, cioè, sull´ambizione di combattere l´egemonia degli Stati Uniti, sull´antiamericanismo, sul confronto con l´errata idea di Rumsfeld sulla „vecchia e nuova Europa“. Neanche questo dovrebbe unirci in un modo falso.

Ripeto di nuovo, l´argomento contro l´intergovernamentalismo (in favore del sovranazionalismo) e l´argomento contro la classica democrazia liberale ( in favore della postdemocrazia) non deve essere
-          Fukuyama
-          Huntington
-          Rumsfeld,
ma neanche le visioni della riunificazione di una, in una remota antichità,  Europa unificata, neanche i sogni di Jacques Delors sull´anima europea, ma neanche le ambizioni degli eurocrati europei (dei politici europei, dei burocrati e dei „public intellectuals“) di uscicre dai meccanismi democratici  standard e di imperare in Europa nello stile kunderiano „dell´insostenibile leggerezza dell´essere“ sopra di tutti noi, che non abbiamo le loro ambizioni e che siamo in questi affari molto più umili.

Ragioniamo in modo pragmatico e razionale. In campo accademico posso usare i termini „externalities“, „spillover effects“ e „beni pubblici“. Questi effetti esistono senza dubbio e devono riflettersi nelle istituzioni europee e nella legislazione europea. Se dico che esistono, questo non significa, che predominano. Dire che predominano è una tesi degli europeisti e dell´europeismo. Dire che esistono è una tesi mia e di altri europei che ragionano in modo razionale.

Le controversie concernenti „externalities“, „spillover effects“ e „beni pubblici“ sono le controversie sulla loro  dimensione e sul modo di decidere su di esse. La loro dimensione è sicuramente minore di quello che dicono gli europeisti ed è minore di quello che è stato concesso alla legislazione europea, all´acquis communautaire. L´unificazione nel processo decisionale al livello dell´UE è andata più avanti di quel che fosse razionale. Si omogeneizza, si armonizza e si standardizza più di quello che è economicamente vantaggioso. In più, trionfò l´idea, che la modalità di decisione sovranazionale, cioè  maggioritaria, è migliore di quello intergovernamentale, cioè unanime. Penso che con questo l´Europa perde e non guadagna.

Per tutto questo raccomando la ridefinizione del concetto di Unione europea. Per tutto questo  dobbiamo ritornare all´originale – intergovernamentale – concetto dell´integrazione europea. Il concetto originale, a mio modo di vedere,  è l´eliminazione radicale di tutte le barriere, è la liberalizzazione profonda ed è l´apertura di tutti i mercati (non solo nel senso economico). Io credo, che è necessario minimizzare tutte le interferenze dei politici nelle attività umane e se, al limite, ci devono essere, devono essere vicine agli elettori (cioè  al livello dei comuni, delle regioni e degli Stati), e non lontane da essi (al livello dell´UE).

L´Unione europea ha bisogno di cambiare, ha bisogno di trasformarsi. Ha bisogno di ritornare al modello liberalizzatore dell´integrazione europea e di rifiutare il modello armonizzatore (o omogenizzatore), che costituisce oggi la base del pensiero europeo.  Ha bisogno di abbandonare la parola o lo slogan „meno stato nazionale, più internazionalismo“,  perché lo Stato è un garante insostituibile della democrazia (a differenza dai regni, dagli imperi e dalle associazioni dei Paesi). Dobbiamo svegliare la maggioranza europea silenziosa, che ha altre preoccupazioni e altri interessi e che sottovaluta, che proprio in questo momento in Europa avviene un cambiamento qualitativo.

Per concludere, vorrei dire, che io preferisco l´abbreviazione OSE (Organizzazione degli Stati europei) all´abbreviazione UE. Dovremmo cominciare a occuparci  in modo serio dei dettagli dell´inevitabile processo trasformatore.

So che in alcuni casi sto dicendo delle cose insolite, cose che non sono „politically correct“  (politicamente corrette) e quindi chiedo scusa a quelli che sono stati colpiti da alcune delle mie parole. E con questo ritorno all´inizio della mia lectio. Ho detto che „abbiamo la memoria storica e per questo siamo sensibili …qualche volta anche allergici“. La mia sensibilità, l´esperienza  della mia vita, lo studio dell´economia e di altre scienze sociali al quale ho dedicato tutta la mia vita, mi fanno dire proprio questo.

Vorrei ringraziare un´altra volta per il titolo onorario che ho ricevuto oggi da voi, per l´opportunità di presentare le mie idee e visioni alla vostra università, per la vostra attenzione e per la vostra generosità con la quale siete sopravvissuti al mio discorso in lingua italiana. Vi ringrazio ancora.

Václav Klaus, Università degli Studi di Trento, 10.3.2006

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